martedì 31 luglio 2012

RIFLESSIONI ESTIVE SULL'OPERATO DEL "GOVERNO MONTI", L'EQUITA' DELLA SUA AZIONE ED I REALI SCOPI PERSEGUITI


RIFLESSIONI ESTIVE SULL’OPERATO DEL “GOVERNO MONTI”, L’EQUITA’ DELLA SUA AZIONE ED I REALI SCOPI PERSEGUITI.

Al momento del suo insediamento il governo presieduto dal prof. Mario Monti, nonostante dovesse affrontare una crisi senza precedenti, ha enfatizzato molto l’equità che avrebbe caratterizzato la sua azione riparatrice. Opportuno, pertanto, sarebbe stato, innanzitutto, tener presenti quali categorie di cittadini avevano già particolarmente sofferto gli effetti di una crisi iniziata come finanziaria e trasformatasi ben presto in economica.
Nonostante le diffidenze nei confronti del governo, dovute, soprattutto, al ceto di provenienza dei suoi componenti, era tale la disperazione per quanto si stava vivendo e presente la vergogna, anche internazionale, per  l’”attività” di quello precedente che è, comunque, parso, alla maggior parte degli italiani, che si fosse intrapresa la via per uscire da un incubo.
In parte questo è stato vero. Innegabile, peraltro, è stato anche il recupero di un qualche ruolo nella politica europea ed internazionale del nostro Paese. Le credibilità internazionali (e, in particolare, negli ambienti della finanza e dell’economia) personali del Presidente della BCE Mario Draghi e del nuovo Presidente del Consiglio Mario Monti hanno indubbiamente garantito un qualche respiro.
Nessuno, infatti, può dimenticare gli umilianti “baciamano” a Gheddafi seguiti dalle bombe (la Francia ha utilizzato le proprie bombe per sostituirci, quale partner privilegiato della Libia, nell’acquisto del petrolio; noi le abbiamo utilizzate, confusamente, per tentare di ricoprire un qualche ruolo); le penose lamentele, durante un summit internazionale, rivolte dall’ex presidente del Consiglio al Presidente degli Stati Uniti; la sottoscrizione di un impegno a conseguire il pareggio di bilancio entro il 2013 mentre avremmo potuto ottenere di farlo entro il 2014; gli insulti  degli ex ministri contro l’opposizione ed i non allineati; le passeggiate di esponenti del governo, con maiale al guinzaglio, costate care agli italiani; etc.
Il bilancio sull’equità delle misure intraprese, però, è stato, almeno finora, del tutto negativo.
Non è facile capire quanto sia stato dovuto all’urgenza di reperire risorse (e la lotta all’evasione fiscale non avrebbe potuto dare, in tal senso, i necessari risultati immediati), agli equilibri della complessa maggioranza che sostiene l’attuale Governo o alla difficoltà di una comprensione reale, e non solo intellettuale, da parte dei componenti di quest’ultimo, dell’estremo disagio nel quale versano gli strati poveri della popolazione e l’ex ceto medio.
Nei fatti, però, di equità se ne è respirata davvero poca.
La patrimoniale è stata esclusa e le uniche misure indirizzate in tal senso hanno colpito, una volta di più, l’ex ceto medio; la ricchezza è stata esaltata come un fattore positivo da preservare all’interno del Paese ma non altrettanto si è detto o fatto nei confronti del lavoro e della sopravvivenza delle persone.
Senz’altro encomiabile è stata la misura che ha dichiarato onorari tutti gli incarichi presso enti non istituzionalmente previsti, ma non basta.
L’aspetto che preoccupa è rappresentato dal gioco a carte coperte che sta conducendo il Governo.
Nelle dichiarazioni esso è teso a riattivare un processo di “crescita”, nei fatti, mira ad ottenere gli effetti di una svalutazione che, in presenza di una moneta unica, non gli è possibile realizzare.
Attraverso la strisciante e sistematica minaccia di licenziamento dei lavoratori dipendenti, si vogliono indurre questi ultimi ad accettare, per disperazione, condizioni di lavoro e di salario inaccettabili (si scusi l’apparente bisticcio di parole). In tal modo, pur senza procedere ad un’impossibile ordinaria svalutazione, si ritiene che gli effetti raggiunti saranno analoghi.
Se si pone tale ultimo obiettivo al centro dell’azione del governo, infatti, vedremo che le tessere del mosaico troveranno una loro logica collocazione, viceversa, se cerchiamo di inserirle in una regia mirata alla “crescita” ci accorgeremo che non è possibile trovare l’incastro.
E’ vero che per evitare di essere impiccati al cappio del pareggio di bilancio è necessario reperire urgentemente risorse certe e che la strada più facile da percorrere per farlo è, sicuramente, quella di dragare, per quanto possibile, il risparmio privato e, fino all’inverosimile, i salari, ma è altrettanto innegabile che le misure messe in campo sono recessive e che contrastano, incontrovertibilmente, con ogni ventilata ipotesi di crescita.
Ci è stato raccontato che per contenere la spesa pubblica e non essere costretti ad aumentare, subito (nessuna garanzia è stata data per i successivi sei mesi), l’IVA di due punti sarà necessario ridurre del 20% il numero dei dirigenti pubblici e del 10% quello degli altri dipendenti del pubblico impiego.
Si pensa veramente che una tale “terroristica” misura non produrrà l’effetto di ridurre ulteriormente e drasticamente la domanda interna? Le centinaia di migliaia di persone che sentono a rischio il proprio presente, oltre che il proprio futuro, saranno, forse, propense a spendere? L’effetto non sarà ancora più dirompente rispetto all’ipotesi di aumentare l’IVA di due punti (senza considerare l’ipotesi di farlo nei successivi sei mesi)? Quale potrà essere l’inevitabile contraccolpo sulle piccole imprese che operano in ambito locale?
E’ stato anche affermato che, in tal modo, si vuole ridurre la spesa “improduttiva”.
Il Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera ha dichiarato che l’Amministrazione Pubblica Centrale (statale) non è dotata di organici sovrabbondanti (in sostanza i dipendenti occupati sono quelli necessari per farla funzionare), aggiungendo, poi, un’affermazione sorprendente e molto significativa: è, tuttavia, necessario che si proceda anche in essa al “taglio” dei dipendenti “per dare l’esempio”.
Se non fossimo certi, come siamo, che il Ministro Passera è un uomo intelligente, brillante e pieno di buon senso, saremmo indotti a pensare che si tratti delle dichiarazioni di uno psicopatico.
Cosa significa “dare l’esempio”, tagliando posti di lavoro (necessari per un regolare funzionamento della macchina statale) e gettando famiglie intere nelle disperazione quando ciò non è necessario?
E’ in questo modo che si vuole riavviare un sano processo di crescita?
Il Presidente del Consiglio Mario Monti, peraltro, ha dichiarato, alcuni mesi fa, che ogni euro investito nell’Agenzia delle Entrate (Ente che subirà i “tagli”) produceva, per le casse statali, un ritorno di quattro euro.
Come si concilia questa affermazione con i presunti tagli alla “spesa improduttiva” considerato, peraltro, che le “consulenze” esterne subirebbero, secondo il piano, una riduzione del solo 20%?
Per quanto riguarda il pubblico impiego, inoltre, è necessario sottolineare che il numero dei dipendenti pubblici per abitanti è perfettamente in linea con la media dei valori riscontrabili negli altri Paesi europei.
Quanto alla produttività individuale, invece, è doveroso riconoscere che essa ci colloca all’ultimo posto rispetto agli altri grandi Paesi del Continente. E’, tuttavia, altrettanto necessario sottolineare che allo stesso risultato negativo (ultimo posto)  ci relega la produttività dei dipendenti privati italiani.
Chiunque abbia visto all’opera dipendenti, privati o pubblici, italiani e dipendenti stranieri, però, avrà, sicuramente, riscontrato (al di là di folkloristici stereotipati luoghi comuni) che i primi, sia per preparazione, sia per operosità, non sono peggiori dei secondi. Dove risiede allora il problema? Perché i nostri lavoratori risultano meno produttivi?
Senza voler indagare nei pur conosciuti “meccanismi” che regolano le posizioni e gli incarichi nel mondo del lavoro nostrano e senza voler dimenticare il peso della corruzione (che tutto corrompe e rovina), punterei l’indice su tre fattori: il proliferare di leggi (e conseguenti provvedimenti di attuazione) spesso incoerenti e mal scritte (in Italia superiamo abbondantemente le 300.000 mentre negli altri grandi Paesi europei siamo nell’ordine di qualche decina di migliaia) che rendono difficile il lavoro di chi deve applicarle ed elefantiaca la burocrazia, il ritardo, soprattutto in alcuni settori (per esempio, la giustizia), nell’informatizzazione e l’inadeguatezza dei locali in cui risiedono le strutture.
E’ chiaro che i mezzi a disposizione del lavoratore possono “fare la differenza”. A chiunque abbia frequentato un tribunale del lavoro (che dovrebbe garantire un procedimento più rapido rispetto a quello ordinario), per esempio, non sarà certamente sfuggita la condizione da “terzo mondo” nel quale operano i magistrati ed i pochi dipendenti amministrativi che li coadiuvano (locali inadeguati, archivi privi, spesso, di supporti informatici). Come possiamo paragonare la produttività di quei dipendenti del Ministero della Giustizia con quelli di altri Paesi senza tener conto di tali fattori?
Lo Stato non rimborsa tempestivamente i contribuenti per i crediti fiscali maturati, è colpa della scarsa produttività dei dipendenti o della “burocrazia” (parafulmine generico dietro al quale si nascondono debolezze di sistema che andrebbero analizzate singolarmente ed approfonditamente a cominciare dai problemi creati da un’inadeguata produzione legislativa) oppure del fatto che non sono messe a disposizione degli uffici deputati alla restituzione le risorse necessarie?
Troppo facile ed abusata è, poi, la strategia di porre in contrasto i lavoratori pubblici con quelli privati. Basterebbe, probabilmente, un minimo di impegno per conoscere le realtà reciproche per capire quanto falsi siano alcuni luoghi comuni (senza, per questo, voler minimamente giustificare o proteggere i corrotti o quanti, volutamente, tengono condotte parassitarie) e altrettanto funzionali all’occultamento delle reali distorsioni ed al successo di personali interessi antagonisti (es. richieste di consulenze del tutto inutili o nomine di alti dirigenti privi dei requisiti necessari a ricoprire l’incarico). Qualcuno ricorda, in proposito, le dichiarazioni del celebrato manager FIAT Sergio Marchionne in occasione dell’”imposizione” (grazie anche alla complice assenza del precedente Governo dalla funzione riequilibratrice delle posizioni contrattuali) del nuovo contratto di lavoro “differenziato” per i lavoratori dello stabilimento di Pomigliano d’Arco?
In quel frangente, affermò che il “nuovo modello” (mutuato forse da quelli in vigore nei primi anni della c.d. rivoluzione industriale) sarebbe stato applicato al solo stabilimento campano in ragione del significativo maggiore “assenteismo” che si registrava in esso rispetto agli altri impianti presenti sul territorio nazionale.
In brevissimo tempo, il “modello Pomigliano d’Arco” è stato esteso (imposto) agli altri stabilimenti nazionali.
Nella giornata di ieri, il Ministro per i rapporti con il Parlamento Patroni Griffi ha dichiarato che risulterebbero essere presenti, nel pubblico impiego (probabilmente si riferiva all’Amministrazione Centrale), circa undicimila “esuberi”. Tale dato sembrerebbe sia stato ricavato dal rapporto tra le piante organiche e gli attuali impiegati. Taglieremo di più dove maggiore è lo squilibrio e meno dove risultano carenze di organico, ha dichiarato. Peccato che nella Legge n. 87 del 2012 (se non ricordo male) sia disposto che, ai fini della riduzione del personale, le “piante organiche” sulle quali effettuare i “tagli” siano rappresentate dai dipendenti che sono attualmente in servizio indipendentemente da qualsiasi rapporto con i carichi di lavoro individuali e collettivi (o con le ultime reali “piante organiche”, redatte in base alle funzioni da svolgere, ai servizi da erogare ed ai carichi di lavoro e dalle quali possono risultare le “eccedenze” o le “carenze” effettive di personale). Mentre sostanziosi dubbi si possono nutrire sui fini realmente perseguiti dalla strategia messa in campo per riavviare la “crescita”, non si possono sollevare altrettante perplessità sull’efficacia fuorviante di quella comunicativa posta in essere dall’attuale Governo e sull’assenza, pressoché totale, di equità nelle misure da esso messe in campo.
Per concludere, anche se non pertinente, voglio richiamare l’attenzione sull’ostinato impegno profuso, in questi giorni, dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per screditare gli interventi, in aiuto dell’euro, che sta ponendo in essere la Banca Centrale Europea (BCE). Dopo aver minacciato, nei giorni scorsi, di escluderla anche dalla “troika” che si sarebbe dovuta recare in Grecia per “verificare l’operato” di tale martoriato Paese, sta adoperandosi, con continue dichiarazioni “al vetriolo” per convincere “i mercati” che le manovre di alcuni Stati e delle Istituzioni europee (BCE in testa) non avranno gli sbocchi sperati. Qualche malpensante, potrebbe intravedere un’analogia delle sue intempestive e, spesso, non del tutto fondate valutazioni  con i “pareri” emessi dalle tre, ormai famose (purtroppo) compagnie di rating americane. Sembrerebbe che alcuni “Organismi” internazionali abbiano “scommesso” sul fallimento dell’euro e dell’area di riferimento.
E’ molto strano in confronto, peraltro, il pochissimo clamore (non ho sentito nemmeno la voce dell’Unione Europea, forse per distrazione), soprattutto in relazione alla portata della “scoperta”, che sta avendo lo scandalo della fissazione manipolata del LIBOR (London Interbank Offered Rate - tasso interbancario su Londra che costituisce un riferimento per i mercati finanziari). Si tratta, in sostanza, del tasso variabile giornaliero, calcolato, dalla British Bankers' Association, sulla base dei tassi d'interesse richiesti per cedere a prestito depositi in una determinata moneta (tra cui l’euro) da parte delle più importanti banche presenti sul mercato interbancario della “City”.
E’ intuitivo il ruolo che possa aver giocato e possa rivestire un’alterazione arbitraria dell’equilibrio sul valore reale delle diverse divise sulla crisi finanziaria dell’area euro.
Nel ritornare al Fondo Monetario Internazionale, nell'articolo 1 dell'”Accordo Istitutivo” sono definiti quelli che dovrebbero essere i suoi scopi. Fra gli altri figurano: promuovere la cooperazione monetaria internazionale; promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio evitando svalutazioni competitive; dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili con adeguate garanzie le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti; abbreviare la durata e ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati membri. In sostanza, il F.M.I. dovrebbe regolare la convivenza economica e favorire i Paesi in via di sviluppo.
Sarei curioso di sapere quanti siano coloro che leggendo gli scopi indicati nel citato articolo 1 e considerando le dichiarazioni degli ultimi giorni (mirate palesemente a minare la fiducia nella ripresa di Paesi quali l’Italia e la Spagna e, conseguentemente, di tutta l’area euro) provenienti dall’FMI abbia ravvisato un coerente perseguimento dei primi (con particolare attenzione agli ultimi due obiettivi).
Oltre che procedere alla rapida costituzione di un’agenzia di rating europea (così come ha fatto la Cina) ed a ripensare all’indisturbata centralità che la piazza inglese ricopre per la finanza internazionale, sarebbe opportuno, probabilmente, rimettere in discussione il ruolo del Fondo Monetario Internazionale o, almeno, l’operato dei suoi vertici in occasione dell’attuale crisi economica e finanziaria.

Roma, 31 luglio 2012                                                   Gianfranco Serio