giovedì 26 aprile 2012

CONCLUSIONE sul finanziamento ai partiti

da manlio a continuazione del mio precedente post

A conclusione di quanto sopra e riferendomi al titolo, il Finanziamento dei Partiti, ritengo indispensabile che questo sia eliminato subito e che contemporaneamente (SE NON ORA QUANDO ?) si ricominci da zero sull'argomento della rappresentatività politica ripensando alle modalità di espressione della volontà popolare senza tener conto alcuno dell'esistenza dei partiti attuali.

Il modo può esistere, nel rispetto della Costituzione (ovviamente) .....Al solo scopo di dimostrare che è possibile, nel mio prossimo post vorrei descrivere un'ipotesi relativa a tale modalità, invitando tutti ad un pensiero comune.
Svegliamoci (lo dico anche a me stesso ovviamente).............. prima che sia troppo tardi !!!!

ANCORA SUL FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI

Certamente affrontare il problema del finanziamento pubblico dei partiti pensando all'alternativa costituita dal finanziamento privato rende quasi obbligatorio scegliere la prima opzione ed induce a studiare, con riferimento a questa,  provvedimenti migliorativi. Soprattutto di fronte all'evidente scandalo costituito dalla disparità tra spese elettorali reali ed introiti dei partiti, particolarmente grave in questo momento drammatico di profonda crisi e grandi difficoltà economiche per il Paese.
Io ritengo però che il problema debba essere affrontato in modo diverso.
Partiamo da una considerazione storico-politica certamente ardita su cui sarebbe bene avviare un utile confronto. L'Italia non si è mai dotata di una struttura di governo corrispondente realmente ad una democrazia. La repubblica proclamata dopo la fine della monarchia  nel 1946 certamente fu basata su di una validissima Costituzione ma di fatto produsse un sistema di governo che corrispose e corrisponde in tutto ad una oligarchia, l'oligarchia dei partiti, del tutto simile, nella sostanza, alle oligarchie aristocratiche o aristocratiche-mercantili che avevano dominato nei secoli gli stati costituenti l'Italia prima della sua unificazione. Sto chiaramente semplificando quando utilizzo gli aggettivi "aristocratiche e aristocratiche-mercantili" ma per questa volta tralasciamo l'approfondimento storico.
Ritengo che l'organizzazione interna, il funzionamento dei partiti e la gestione del potere dopo l'acquisizione delle cariche istituzionali corrispondenti alle funzioni legislativa ed esecutiva possano configurarsi come una oligarchia, cioè un governo esercitato da pochi. Se questi pochi fossero quelli scelti veramente e consapevolmente dal popolo chiaramente non sarebbe un'oligarchia. Si può parlare di oligarchia (ed è il nostro caso) quando questi pochi sono l'espressione di una minoranza che si appropria del potere in modo illegittimo.
Io dico che questa illegittimità viene nascosta dalle operazioni di voto, eseguite in modo legittimo, ma esiste ed è dimostrabile.
L'illegittimità infatti non è e non può essere formale ma è sostanziale. Risiede nella convinzione che il nostro popolo non si sia mai appropriato, pur potendolo (dopo la proclamazione della repubblica), del diritto e della facoltà di esprimere la propria volontà politica. Riflettiamo un attimo sul fatto che la volontà di un gruppo di individui possa esprimersi solo con
1.     aggregazione; 2. confronto; 3. condivisione della forma espressiva dell'opinione comune

Tutte cose che sembrano ovvie e che vengono comunemente espletate anche nelle riunioni di condominio, MA NON nella politica in quanto le sopradette attività sono (anzi sarebbero) proprie solo delle aggregazioni di individui chiamate partiti che di esse si sono appropriati usurpandole al popolo che ne è titolare.
Il fatto è che il popolo Italiano fino ad ora non si è mai reso conto in pieno di tale abuso e di tale usurpazione. In questa “ingenuità” io ritengo che risieda l'illegittimità di cui sopra.
Ma da dove nasce questa “ingenuità” ? Nasce dal fatto che il nostro popolo non ha ancora preso piena coscienza dei propri diritti (e doveri) democratici, perchè da secoli abituato ad essere governato dall'alto, perchè non erede di una rivoluzione francese, perchè nella gloriosa (lo dico con orgoglio) temperie delle lotte per l'unificazione ha dovuto, per tanti motivi, preferire l'alternativa monarchica a quella mazziniana.  
Ha poi subito la dittatura fascista......Ci vogliamo anche aggiungere l'analfabetismo (non solo Italiano) di inizio Novecento ?
Tante altre motivazioni di minor portata potremmo aggiungere, per giustificare quell'”ingenuità” ! MA ORA BASTA ! Ora non ci sono più giustificazioni. Ora il nostro popolo ha il dovere di appropriarsi, finalmente, del suo diritto a decidere il proprio destino e riscattarsi finalmente dalla soggezione ai partiti consolidati,  che ancora oggi si mostrano sicuri della loro forza e del loro potere, non vergognosi dei disastri di cui sono responsabili .

Siamo un popolo maturo ed intelligente, non siamo bambini bisognosi di essere condotti per mano, di essere guidati  da politici che sono o decisamente corrotti e disonesti oppure sono travolti dal sistema finalizzato solo alla conservazione del potere e non al bene del Paese, così da fagocitare tutte le eventuali buone qualità possedute dai singoli.

martedì 24 aprile 2012

Breve domanda banale

.......e se i  Paesi dell'Area euro imponessero alla Germania di allentare la "morsa" o di uscire dalla moneta unica?
     Angela Merkel insegue il consenso elettorale interno ma, né lei né molti suoi connazionali sembrano ricordare che le esportazioni Tedesche hanno per il 50-60% come destinazione il resto dell'Europa.
     Indebolire il Continente e precipitarlo in una depressione lunga e profonda può giovare, nei tempi lunghi,
ai cittadini tedeschi?

Chi ha paura di Hollande?

Molti osservatori e opinionisti internazionali hanno dato al candidato socialista all’Eliseo la responsabilità dell’ennesimo tonfo delle borse di ieri. Il timore che Monsieur Hollande possa divenire il nuovo Presidente francese spaventerebbe gli investitori ed i mercati. Addirittura lo stesso candidato si è premurato in tutta fretta a rilasciare una dichiarazione in cui afferma che la caduta dei listini mostrerebbe il timore diffuso verso il buon risultato elettorale della Le Pen e non verso il suo. Basterebbe di per sé questa affermazione per dirla tutta su chi è Hollande e sulla sua lungimiranza. Come potrebbe mai, infatti, una candidata al primo turno delle presidenziali francesi e che non potrà più salire all’Eliseo spaventare in qualche modo i mercati al di fuori della Francia (ma anche al suo interno) è un mistero degno dei migliori autori di gialli! Ma torniamo alle paure della prima ora, quelle relative al candidato socialista. Possono avere un qualche fondamento? La risposta naturale per chiunque possieda un minimo di buon senso e di conoscenza del panorama economico internazionale è NO. Non c’è singolo stato, al momento, per quanto “forte” esso sia capace di ribaltare da solo le regole finanziarie “globali” senza che venga abbattuto e ricostruito l’attuale modello di sviluppo la cui crisi è oramai inarrestabile. Ma con Monsieur Hollande il dubbio non può neanche sfiorarci. Un uomo politico appoggiato dall’italico Bersani, complice di fatto della sostentazione convinta di banche, poteri forti e della salvaguardia dello status quo, non può certo essere un rivoluzionario e la sua preoccupazione di addolcire i mercati lo conferma. Chi volesse davvero cambiare le cose dovrebbe preoccuparsi meno delle borse e più dei portafogli dei cittadini. E invece assistiamo a continue scelte miopi e impopolari (nel senso che vanno contro il popolo) che si preoccupano di salvaguardare ben altro che il bene ed il futuro collettivo. E poi non è neanche detto che sarà Hollande a vincere il duello finale con Sarkozy! Buona Partecipazione a tutti.

lunedì 23 aprile 2012

Fermiamo la diligenza

I referendum tenutisi nel 1993 risentirono indubbiamente del momento storico in cui ebbero luogo e, anche aldilà dei fermi convincimenti personali, vollero colpire un sistema (allora il termine casta non era stato ancora coniato all’uopo) fatto di ruberie e corruzione dilagante da poco balzate agli onori della cronaca giudiziaria. Così sembrò aver termine il finanziamento pubblico dei partiti, ma l’illusione durò poche settimane solamente e l’assalto alla diligenza, come ben sappiamo, riprese con più vigore. Il lauto foraggiamento della politica (così come gli stipendi di molti funzionari pubblici) è stato motivato nel tempo non solo dal sacro ruolo di cui sono investiti i partiti dalla nostra Costituzione, ma dal rendere i loro esponenti immuni da pressioni e corruttele. Se il tempo è galantuomo, allora abbiamo ben visto che tale sistema si è dimostrato fallimentare, e se un tempo poteva aver senso garantire col denaro pubblico una pluralità di opinioni (e qui entrano in gioco anche le sovvenzioni alla stampa e all’informazione nel suo complesso), adesso che le forme di comunicazione sono le più varie e alla portata di chiunque voglia ascoltare una voce diversa da quella del padrone, è tempo di rendere giustizia a quel referendum sul finanziamento pubblico ai partiti che sta per compiere vent’anni e chiudere definitivamente quella che si è dimostrata una falla per la nave Italia. La Partecipazione siamo noi. Se ci crediamo, se lo vogliamo.

domenica 22 aprile 2012

RIMBORSI ELETTORALI E FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI


RIMBORSI ELETTORALI E FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI


        Impazza, in questi giorni, un acceso dibattito sul finanziamento pubblico dei partiti politici, abolito con referendum del 1993 e surrettiziamente reintrodotto (ed aumentato negli importi) dai beneficiari grazie anche alla pigra distrazione degli elettori.
       L’indignazione crescente sembra poter travolgere il sistema stesso dei partiti.
       Alfano, Bersani e Casini hanno, nei giorni scorsi, dichiarato cheCancellare del tutto i finanziamenti pubblici ai partiti sarebbe un errore drammatico che punirebbe tutti allo stesso modo e metterebbe i partiti in mano a lobbies, centri di potere e di interesse particolare.
        Nel mondo delle idee l’ammonimento può avere un senso.
        E’ sufficiente constatare, a tale proposito, quanto è accaduto nell’informazione con la “discesa in campo” diretta di un facoltoso signore, per capire quale reale (e si perdoni l’apparente contraddizione con il “mondo delle idee” in riferimento)  pericolo costituisca, per la democrazia, l’enorme differenza di disponibilità economica fra i competitori.
       Anche il diverso ed esorbitante “peso politico” accordato, rispetto agli altri cittadini, ad organizzazioni che detengono ingenti ricchezze (gli associati) e rappresentano rilevanti interessi economici seppure composte da un numero di persone relativamente esiguo (quale, ad esempio, Confindustria), autorizza l’insorgere di legittimi dubbi, oltre che sulla qualità della democrazia rappresentativa e sulla correttezza del “gioco democratico”, fondato sull’attribuzione, in occasione delle elezioni politiche, di un solo voto a ciascun cittadino (che non conserva, successivamente, lo stesso valore), sui rischi che una società democratica possa correre a causa di un’eventuale totale dipendenza, dei partiti politici, da sovvenzioni private.
       L’esempio proveniente da società a prevalente cultura anglo-sassone, nella crescita delle quali, peraltro, il “puritanesimo” ha svolto un ruolo rilevante, non è rassicurante.
        L’accorato appello della “triade” che sostiene il governo in carica, tuttavia, risulta difficilmente comprensibile e poco credibile nell’attuale realtà italiana.
        Non siamo forse il Paese nel quale è stato necessario ricorrere ad un “governo tecnico” per poter tentare di varare riforme che, in qualche modo, incidessero anche sugli interessi delle lobbies?
        Qualcuno pensa che l’opinione pubblica abbia dimenticato l’indecoroso spettacolo offerto dai componenti delle Commissioni Parlamentari “asserragliati” nelle aule per “evitare” l’assalto dei lobbisti in occasione di delicati passaggi parlamentari?
       Il fondato rancore si scontra con la necessità di costruire un sistema stabile capace di garantire, in misura sufficiente, l’indispensabile equilibrio sul quale si basa “il patto sociale” in uno Stato democratico.
      Proviamo ad andare con ordine.
      Smaltita la giustificata rabbia per la “presa in giro” subita, chiediamoci se l’obiettivo, esclusa la legittima tesi secondo la quale ai partiti non deve essere accordato alcun finanziamento di nessun genere, debba essere quello di assicurare ad essi il solo rimborso delle spese sostenute in occasione delle tornate elettorali oppure quello di garantire loro le risorse necessarie e sufficienti per essere presenti sul territorio, avere un contatto assiduo con gli elettori e, soprattutto, “fare politica”.
      Pur avendo votato, nel 1993, contro il finanziamento pubblico dei partiti, non voglio approfondire, in questa sede, una valutazione sull’opportunità e sulla moralità di tale finanziamento e sui rischi di lasciare il destino dei partiti nelle mani di finanziatori privati. Mi limiterò, pertanto, a sviluppare un ragionamento sulle eventuali modalità, sull’entità di tale contributo e sulle possibili garanzie del suo corretto impiego in modo tale che dalla sua erogazione possa  derivare un qualche beneficio per la collettività.     
      E’ di tutta evidenza che, nel caso si debba trattare esclusivamente di rimborsi elettorali, essi dovrebbero, per definizione ed in ossequio alla volontà popolare espressa nel referendum del 1993, essere concessi dietro presentazione ed in corrispondenza di un’idonea documentazione di spesa e nei limiti di un tetto massimo prefissato.
     Diverso è il caso nel quale dovessimo riconoscere ai partiti un ruolo essenziale nella nostra democrazia e ritenere che si possa ottenere la loro indipendenza, dai diversi “centri di potere”, solo attraverso una controllata e misurata sovvenzione pubblica che accompagni ogni fase della loro vita.
     In questa seconda ipotesi, credo sia imprescindibile (circostanza ben presente anche al Presidente del Consiglio Mario Monti) una previa riforma del sistema che imponga (provo, conscio dei limiti personali e con la consapevolezza di non poter essere esaustivo e di rischiare errori, ad ipotizzare alcune condizioni):
-         il recepimento, di diritto, negli Statuti dei partiti di alcune regole di funzionamento democratico idonee a favorire il superamento delle “nomenklature” (niente “acclamazioni” di segretari, elezione di tutti i componenti degli organismi dirigenti, idonea convocazione degli iscritti elettori, etc.), e la partecipazione attiva dei cittadini alla politica ed alla vita dei partiti;
-         il controllo sulla rigorosa applicazione delle predette regole (es. regolare convocazione del Congresso, controllo sulla regolarità delle deleghe e sull’esistenza degli iscritti, etc.) e l’irrogazione di severe sanzioni in caso di inadempienza;
-          un’assoluta trasparenza amministrativa e contabile attraverso la certificazione obbligatoria dei bilanci ad opera di società di revisione indipendenti, l’affidamento del controllo sull’impiego delle risorse pubbliche alla Corte dei Conti e l’adozione di adeguate sanzioni civili e penali in caso di violazione delle regole;
-         l’obbligo, per i partiti, di conservazione della copia di domanda di iscrizione degli associati corredata da quella di un documento d’identità valido ed obbligo di conferma di accettazione dell’istanza inviata, all’iscrivendo, attraverso raccomandata A.R., o mezzo equivalente;
-         l’irrogazione di consistenti sanzioni penali a carico di coloro che iscrivano ai partiti persone inconsapevoli (“a loro insaputa”) o precedentemente defunte nonché a carico di soggetti che dovessero, in qualità di pubblici dipendenti o in ragione degli incarichi ricoperti, entrare in possesso dei nominativi degli iscritti ai partiti e divulgarli senza  il preventivo ed informato consenso degli interessati o, comunque, utilizzarli o consentire che siano usati a danno di questi ultimi;
-         un identico accesso dei partiti alle trasmissioni di emittenti nazionali (o in caso di elezioni regionali anche sulle locali dei territori interessati), pubbliche e private, in prossimità delle elezioni (si potrebbe immaginare un tempo di esposizione identico per le forze che nella precedente legislatura siedono in Parlamento ed uno ridotto del 50% per le altre candidate) e l’applicazioni di pesanti sanzioni economiche (multe dall’importo calcolato in percentuale sul bilancio del partito) per i partiti favoriti e di sanzioni penali a carico dei responsabili delle emittenti in caso di violazione grave o ripetuta delle norme;
-          di fissare un tetto massimo di contribuzione privata ai partiti con il connesso obbligo di pubblicizzare, al di sopra di uno stabilito esiguo minimo (per esempio, superiore al 20% della quota annuale di iscrizione), l’elargizione;
-         il divieto di finanziare più di due partiti diversi ogni due legislature;
-         l’obbligo, per i partiti, di pubblicizzare l’eventuale erogazione di finanziamenti a favore di associazioni, fondazioni, circoli o altre forme di aggregazione nonché testate giornalistiche che non siano evidentemente e direttamente riconducibili al partito (es. ne rechino il nome o il simbolo) o siano, di esso, gli “organi di stampa”;
-         di prevedere la nullità della candidatura di Parlamentari e Consiglieri regionali, per almeno una legislatura, a seguito di precedente elezione per due mandati consecutivi;
-         di fissare la retribuzione degli eletti sulla base della retribuzione media degli amministrati e/o rappresentati (il parametro deve essere costituito dal trattamento economico riconosciuto ai lavoratori dipendenti) integrata del 100% e ridotta della percentuale di disoccupati presenti fra la popolazione interessata (con conguaglio effettuato al termine della legislatura);
-         la reintroduzione delle preferenze e del sistema proporzionale, con eventuale sbarramento (non oltre il 3-4%), alle elezioni politiche ed amministrative e l’obbligo di adozione delle primarie, nei partiti, che coinvolga almeno gli iscritti ad essi;
-         l’obbligo, per gli Organismi elettivi e per la Presidenza del Consiglio, di rendere pubblici i bilanci redatti in forma analitica;
-         di fissare un limite di valore per i regali accettabili da parte dei componenti degli organismi elettivi e di governo;
-         la cancellazione a favore dei familiari e dei conviventi dei componenti gli organismi elettivi e di governo di tutti i benefici che non siano riconosciuti, dalla legge, ai familiari degli altri lavoratori;
-         l’obbligo per i componenti degli organismi elettivi e di governo di fruire, in caso di accertamenti diagnostici o di interventi (esclusi quelli di natura estetica), delle sole strutture sanitarie pubbliche;
-         l’obbligo di congelamento del trattamento economico dei dipendenti delle assemblee elettive fino alla perequazione con quello erogato dalle altre amministrazioni statali ai propri dipendenti;
-         divieto di erogazione dei fondi derivanti dal c.d. “decreto mancia” a favore dei partiti o di strutture private che siano di proprietà o gestite direttamente da familiari o conviventi dei componenti delle assemblee elettive che decidono sulla distribuzione;
-         l’introduzione della c.d. “anagrafe pubblica degli eletti che prevede la pubblicazione, su internet, dei dati riguardanti le presenze, lo svolgimento dei lavori, il prodotto realizzato, gli stipendi e gli emolumenti di ogni tipo, le consulenze, i pagamenti, di tutti i politici eletti e di tutte le persone che rivestano una carica politica pubblica;
-         interdizione perpetua dalle cariche elettive, di governo o di qualsiasi Ente in caso di condanna definitiva per “voto di scambio” o reati gravi contro la pubblica amministrazione;
-         sospensione dalle cariche elettive, di governo e da qualsiasi Ente nonché dall’erogazione del 50% della retribuzione in caso di duplice condanna (sia in primo che in secondo grado e in attesa di pronuncia definitiva) per reati contro la pubblica amministrazione o che, comunque, prevedano pene, nel minimo, non inferiori a due anni di reclusione.
         Qualsiasi tipo di controllo esercitato su partiti che fruiscano del finanziamento pubblico dovrà essere esercitato da organismi i cui membri non ricoprano il proprio incarico per nomina o elezione politica (deve trattarsi di Magistrati assunti attraverso concorso pubblico ed indipendenti dall’esecutivo).
          Sicuramente, avrò dimenticato, in questo breve excursus, molti altri utilissimi e penetranti strumenti di controllo e garanzia sulla gestione di organismi che, almeno nell’attuale organizzazione democratica del Paese, credo possano ricoprire un ruolo e svolgano una funzione difficilmente sostituibili.
          Lo scopo, però, non è quello di “salire in cattedra” e, senza averne le capacità, dettare condizioni o dispensare panacee, ma solo quello di dimostrare che il problema risiede nell’esistenza o meno della volontà politica di modificare l’assetto attuale, restituire le istituzioni ai cittadini e realizzare una democrazia compiuta.
         Le misure idonee per ricreare il necessario rapporto di fiducia fra cittadini, partiti politici ed istituzioni, se cercate seriamente, possono sicuramente essere trovate.
          Allo stesso modo è indispensabile, per la salute delle organizzazioni politiche e delle istituzioni, la partecipazione dei cittadini alla vita politica della comunità e, soprattutto, il loro controllo, assiduo ed approfondito, sull’operato dei rappresentanti.
          Nessun giudizio, peraltro, ho voluto esprimere sulle attuali compagini o sulle persone che le compongono e, seppure sia convinto della presenza di numerosi malfattori, non mi unisco al coro di astiosa generica condanna che finisce, inesorabilmente, per coinvolgere anche persone oneste che, comunque, a differenza di quanto, ad esempio, ho fatto io negli ultimi anni, hanno avuto il coraggio di “sporcarsi le mani” e di impegnare risorse ed energie nella vita pubblica e nel perseguimento del benessere comune.
       La pigrizia, la distrazione, la stanchezza e la supponenza di tutti noi, non dimentichiamolo, generano lo spazio vitale nel quale i farabutti prosperano.
       Vogliamo immaginare un nuovo “Processo di Norimberga” che giudichi anche le nostre non sempre giustificate ed incolpevoli “assenze”?
       Nessuna misura può garantire di per sé stessa, nel tempo, assoluta impermeabilità nei confronti della corruzione e del malaffare né, tantomeno, proteggerci da presuntuose ed avide incapacità, solo la PARTECIPAZIONE di ognuno di noi può fungere da antidoto assicurandoci, al contempo, un’adeguata selezione dei rappresentanti.
        Mai più “ghe pens mì” ma, ora e sempre, PARTECIPAZIONE.

 Roma, 19 aprile 2012                                              Gianfranco Serio

domenica 15 aprile 2012

DESOLANTE

L’11 mattina u.s. ho preso il trenino, proveniente da Grotte Celoni e, dalla fermata fra la via Casilina e via di Tor Tre Teste, sono arrivato fino alle Laziali (il capolinea).

Durante il non breve percorso, ho avuto modo di constatare, guardando fuori dal finestrino, quanto fosse socialmente pesante l’impatto della crisi economico-finanziaria che, da oltre un anno, ci stringe nella sua spietata morsa.

Dove, in passato, era presente una rete di piccoli negozi e laboriose imprese (soprattutto nella tratta via di Torpignattara-Laziali) oggi è possibile trovare una sala per la raccolta delle scommesse, un compro oro, una banca, una serie di negozi cinesi (raggruppati, in particolare, nella zona del Pigneto) ed una sconcertante miriade di locali chiusi che vengono proposti in vendita o in affitto.

Qualcuno potrà giustamente obiettare che di segnali ce ne sono stati e ce ne sono tantissimi altri, probabilmente, anche più gravi ed evidenti.

E’ vero, tuttavia, lo scarso numero di attività e la tipologia degli esercizi aperti mi ha profondamente rattristato.

La domanda che mi sono posto è stata: “da dove ricominciare?”

Continuo a pensare ad un tessuto di cooperative vere (non quelle nelle quali esiste un gestore-padrone che si arricchisce e tanti sottopagati “soci”-dipendenti) che si occupino sia della produzione che della distribuzione e che, accantonato quanto necessario per i reinvestimenti, distribuiscano gli utili ai soci conseguendo il duplice risultato di garantire i necessari reinvestimenti e di evitare eccessive concentrazioni di ricchezza. Mai come in questo momento, credo sia indispensabile riequilibrare e diffondere il reddito.

Importante, peraltro, credo sia impedire la “cementificazione” selvaggia delle residue aree coltivabili. E’ estremamente preoccupante il ritmo con il quale stanno scomparendo le campagne.

Alcuni Paesi (ad esempio, la Repubblica Popolare Cinese), solitamente lungimiranti, stanno acquistando aree coltivabili nell’intero pianeta e stanno effettuando studi approfonditi per garantirsi, in futuro, adeguate risorse idriche.

Non sarà forse il caso che anche il nostro Paese, come Stato, oltre, ovviamente, a garantire la sicurezza e la salute dei cittadini, inizi a progettare il proprio futuro indirizzando le proprie attenzioni ed impegnando idonee risorse (si tratta di scegliere dove impegnare le poche disponibili) sul rifacimento delle reti idriche nazionali (evitando deleterie privatizzazioni che, come ampiamente dimostrato dall’esperienza, assicurano lauti guadagni ai privati ed ingenti costi alle casse pubbliche senza garantire alcun migliore standard di servizi per i cittadini) sull’agricoltura (comprensiva dell’acquacoltura), sulla produzione di energia (in proposito, sembra ci siano interessanti risultati provenienti da studi italiani in materia di “fusione fredda”) e sulla scuola e la ricerca?

Temo che nella confusione pubblico-privato che caratterizza l’Italia, lo Stato sia incapace di delineare, con chiarezza il proprio ruolo e che abbia, in nome degli “equilibri” garantiti dal “mercato”, abdicato alla propria funzione di guida dei destini collettivi, limitandosi spesso (e tralascio qualsiasi considerazione sulla corruzione ed il malaffare) a garantire, a spese di tutti, il benessere di imprese incapaci di avere un ruolo, o anche solo di sopravvivere autonomamente, sul mercato globale.

giovedì 12 aprile 2012

Credere in un mondo migliore - Il nostro Paese

Ogni momento storico ha avuto i suoi punti di rottura.
Nella società italiana si sta consumando un momento di "confusione" politica, economica e sociale.
E' necessario credere in un rinnovamento profondo delle istituzioni che nei principi ispiratori e nelle norme generali possono essere considerate valide, ma nell'applicazione pratica risentono degli "individualismi" e dei "particolarismi" propri di ogni categoria sociale.
E' difficile ricomporre un Paese squarciato da quasi vent'anni di "telecrazia" e da un populismo che ha portato allo svuotamento di tutti i valori principali di solidarietà, pace e crescita comune che ispirano la nostra Costituzione e i Trattati istitutivi dell'Unione Europea.
Senza demagogia si dovrebbe partire da una richiesta di giustizia "certa" in tutti i settori e con la piena consapevolezza che le pene siano certe ed eque.
Poi un concetto di partecipazione alle spese della collettività il cui esborso in tasse possa "rientrare" sottoforma di servizi di qualità giusti, equi e accessibili a tutti.
Sul versante politico si dovrebbe partire dalla "registrazione" dei partiti e dei sindacati che attualmente svolgono funzioni enormi della vita del Paese e dell'Unione Europea senza nemmeno avere uno status giuridico riconosciuto dallo Stato e non essendo soggetti a controlli e certificazioni di bilancio.
Il sistema bancario dovrebbe essere al servizio della piccola e media impresa (tessuto connettivo di tutta l'economia italiana) ed avere un vero ad approfondito controllo da parte della Banca d'Italia, eliminando la gestione per fondazioni.
I figli degli immigrati dovrebbero avere l'immediata cittadinanza italiana in caso di nascita sul nostro territorio (jus soli) con procedure di acquisizione della cittadinanza anche per gli stranieri immigrati che risiedano, con contratto di lavoro, da almeno dieci anni (eventualmente da rivedere, in meno, il numero degli anni necessari).
L'Università dovrebbe avere finanziamenti diretti in linea con le percentuali dei migliori cinque paesi UE che investono in Ricerca e Sviluppo, mentre la formazione professionale dovrebbe avviare i giovani al lavoro, valorizzando il "made in Italy", le filiere "enogastronomiche", gli impieghi nel turismo e nella cultura e l'industria innovativa.
Le energie rinnovabili dovrebbero essere incentivate anche con l'utilizzo di mezzi di trasposto a basso impatto ambientale e con sistemi incentivanti per imprese e consumatori.
Per i giovani si dovrebbe investire in una cultura non più imperniata negli schemi rigidi di una Scuola che ha subito riforme negative e che ha fatto "categorizzare" gli istituti di serie A (i licei) e di serie B (gli istituti tecnici e professionali). E' necessario motivare fortemente il corpo docente che sia in grado di indirizzare (anche con più materie a scelta, come nel modello anglosassone dei College) che a sua volta sappia “far innamorare” della Cultura gli studenti (come molti delle generazioni precedenti, dal ’60 al ’75 per esempio, hanno fortunatamente avuto).

Per la sanità, semplicemente prendere esempio dai casi di eccellenza di Emilia, Toscana, Trentino, Val d'Aosta e altre Regioni virtuose. Con scambi “culturali” e dirigenti di Asl e Aziende Ospedaliere non più nominati dai politici.

Eppoi tante tante atre cose . . . come L’Arte, la Cultura la Musica che hanno reso grande questo Paese, sempre in primo piano.

Soprattutto mettere ognuno di noi qualcosa di positivo e fare ognuno il nostro dovere.

Non avendo paura di denunciare le situazioni che non vanno, scordandosi di appartenere ad una categoria “privilegiata” ma dare il massimo per tutti.